lunedì 23 gennaio 2012

Alessandro Manzoni, biografia

Nacque a Milano nel 1785 dal nobile Pietro e da Giulia Beccaria. La sua prima formazione intellettuale fu razionalistica e illuministica, legata alle ideologie giacobine. I genitori si separano quando Alessandro è ancora piccolo: la madre si trasferisce a Parigi, il padre rimane a Milano ed il ragazzo viene mandato in collegio. Nel 1805 M. raggiunge la madre a Parigi, dove resterà fino al 1810. Qui avrà l’opportunità di conoscere molti intellettuali e di approfondire lo studio e l’interesse verso la storia (soprattutto grazie all’amicizia con lo storico Claude Fauriel).
Nel 1809 sposa la giovane Enrichetta Blondel, donna di elevate virtù morali. Il matrimonio segnò l’inizio di un profondo travaglio spirituale del M. che culminò con la sua conversione al cattolicesimo nel 1810. In quell’anno il poeta tornò in Italia, stabilendosi a Milano.
Dal 1812 al 1815 compose quattro Inni Sacri, ai quali aggiunse un quinto nel 1822;
dal 1816 al 1820 compose la sua prima tragedia, il Conte di Carmagnola;
dal 1820 al 1822 scrisse l’altra tragedia, l’Adelchi;
nel 1821 scrisse le due grandi odi politiche, Marzo 1821 e Il Cinque Maggio;
dal 1821 iniziò la stesura del suo romanzo I Promessi Sposi.   
Il M. partecipò alla passione politica del Risorgimento. Nonostante la sua fede cattolica, fu contrario al potere temporale dei papi, e sostenne l’idea di un’Italia unita con Roma capitale. Con la sua opera volle contribuire al processo di unificazione nazionale, esaltando i valori comuni a tutto il popolo italiano, e congiungendo alle comuni tradizioni cattoliche i nuovi ideali di libertà e giustizia del Risorgimento.
Col 1827 l’attività creativa del M. si concluse definitivamente, e si limitò, in seguito, quasi soltanto alla correzione del romanzo, che uscì in edizione definitiva nel ’41. Continuarono solo le opere di riflessione, i saggi storici, quelli filosofico-letterari, i numerosi scritti sulla questione della lingua.
In questi anni il poeta, oltre alla salute malferma, soffrì gravi sventure: la morte di Enrichetta (1833) e di sei degli otto figli avuti da lei e poi, nel ’61, della seconda moglie. Anche per questo visse appartato, quasi senza curarsi dell’onore e della fama che lo circondavano in Italia e in Europa.
Nel 1861 fu nominato senatore del nuovo Regno d’Italia. Morì nel 1873.

I Promessi Sposi

La conversione
Dopo il 1810 avviene la conversione. La fede cattolica consentì al M. di ancorare a una verità che egli sentì assoluta, le sue esigenze morali, di placare la sua ansia etico-religiosa nella certezza della fede comune, radicata nella coscienza popolare da secoli. Non lo portò a rinnegare i suoi ideali illuministici di libertà, uguaglianza, fraternità e giustizia, né la sua critica recisa alle forme retrive delle lettere, della politica e del costume, né la concezione della letteratura come mezzo di edificazione spirituale; gli consentì, anzi, di fondare più saldamente questi principi, non più sull’astratto razionalismo, ma su una fede che fosse slancio totale della persona e che gli desse, di là dalle delusioni del presente, la certezza nell’immancabile trionfo del bene e di un intervento divino nella storia degli uomini.
La conversione accompagna il nascere della grande poesia manzoniana.

Dalla sua prima educazione illuministica, il M. trasse gli ideali che rimasero sempre in lui vivi, pur armonizzandosi successivamente con la sua adesione alla fede cattolica,  di democrazia, di libertà e soprattutto di giustizia.
Con l’avvicinamento del Poeta al Cattolicesimo, la sua opera di uomo di cultura ebbe lo scopo di fare sentire la funzione illuminatrice del Cristianesimo, la sua spinta rivoluzionaria nei rapporti tra gli uomini, di mostrare come in esso fossero impliciti gli ideali che la Rivoluzione francese aveva proclamato giustamente come principi immortali, ma privandoli di ogni riferimento religioso e cercando di attuarli con la violenza.

La poetica del Manzoni
In una dichiarazione del 1823, il M. affermava che la poesia deve proporsi “il vero per oggetto, l’utile per iscopo e l’interessante per mezzo”.
L’utile coincideva con la moralità, in senso rigorosamente cristiano. La poesia doveva, cioè, avere un valore formativo sulle coscienze, essere meditazione sull’uomo, sulla sua anima, sulla sua vita, che il M. vedeva incentrata sul dramma di peccato e redenzione, secondo la sua fede religiosa.
Ma l’ideale religioso era da M. ‘calato nel reale’, ritrovato nelle concrete situazioni dell’esistenza e nella psicologia di tutti gli uomini.
Nasce di qui il realismo manzoniano, che vede nella storia la fonte più alta dell’ispirazione poetica.
Il vero indagato dalla poesia doveva essere il vero storico. Mentre lo storico deve darci la conoscenza dei fatti, la loro concatenazione e la loro successione cronologica, il poeta, mediante la sua profonda conoscenza del cuore umano, deve risalire da essi alla coscienza che li ha generati, ritrovare cioè nell’anima dell’uomo il significato della storia.
Il M. rispecchiò nella sua opera i problemi concreti dell’esistenza comune, e assunse soggetti non tali da interessare una ristretta schiera di dotti, ma largamente popolari, conformi alle memorie e alle impressioni della vita di tutti. La scelta di questo contenuto implicava l’abbandono d’ogni accademismo e un rinnovamento radicale anche nello stile e nel linguaggio, che M. operò in forma rivoluzionaria nei Promessi Sposi, creando così in Italia, si può dire, dal nulla, il romanzo moderno.
Pertanto l’originalità del realismo manzoniano sta nella rappresentazione non di personaggi aristocratici, di sentimenti eccezionali o ‘eroici’, ma dell’uomo reale e del dramma di tutti.


I Promessi Sposi
I romanzi storici erano allora di moda, e celeberrimi erano quelli di Walter Scott; ma mentre in essi la storia era un pretesto di narrazione avventurosa e pittoresca, nei promessi sposi il M. voleva cogliere, attraverso una visione attenta e circostanziata di un’epoca storica ben definita, la psicologia dell’uomo e la lotta continua che si svolge nella sua coscienza tra bene e male.

Genesi  del romanzo
Nel 1821 M. iniziò la stesura di un romanzo in prosa ambientato nella Milano del Seicento.
La prima redazione del romanzo era conclusa nel 1823 col titolo di Fermo e Lucia; a esso si aggiungeva una Appendice storica su la colonna infame, con la storia documentata dei processi agli untori durante la peste del 1630, a cui si accennava rapidamente nel romanzo.
Una volta terminata la prima redazione, M. ne intraprese subito una vasta riscrittura e ristrutturazione che mutò radicalmente i connotati del romanzo, che venne intitolato I Promessi Sposi. L’opera fu pubblicata nel 1827 e per questo è indicata dai filologi come la ‘ventisettana’. Durante il lavoro che aveva portato dal Fermo e Lucia ai Promessi Sposi, M. aveva tentato una toscanizzazione della lingua, spinto dal proposito di comunicare con un pubblico di orizzonte nazionale, e, dopo varie riflessioni sulla questione linguistica, aveva indirizzato i suoi interventi verso la lingua viva usata nella Toscana contemporanea.
Su questa via si mosse ancora più risolutamente dopo l’apparizione dell’edizione dl ’27, progettando una nuova revisione del romanzo, ma questa volta di tipo quasi esclusivamente linguistico: a tale proposito effettuò un viaggio a Firenze per ‘risciacquare i panni in Arno’ nell’estate del ’27, immergendosi nel fiorentino parlato dalla borghesia contemporanea.
Distolto dall’opera a causa di malattie e disgrazie familiari, tornò a lavorare al romanzo tra il ’38 e il ’40. Nel 1840 uscì l’edizione definitiva, che fu indicata come la ‘quarantana’. In appendice a questa edizione apparve, in una redazione più ampia rispetto all’originaria Appendice, la Storia della colonna infame.

La storia
Il romanzo è ambientato nella campagna lombarda (tra l’Adda e il Lago di Como) e a Milano tra il 1628 e il 1630, epoca in cui la Lombardia era sottoposta alla dominazione spagnola. I protagonisti sono due umili popolani, ma vengono chiamati in causa anche personaggi ricchi e potenti, personalità storiche, grandi eventi sociali e collettivi (come il tumulto di S. Martino a Milano nel 1628 o la peste del 1630).
La scelta dell’ambientazione lombarda è naturalmente legata a una volontà di radicare la rappresentazione in un mondo ben noto all’autore, amato da lui e dal pubblico a lui più vicino; la scelta del XVII sec, a sua volta, rende possibile una rappresentazione concretamente realistica, appoggiata su una precisa documentazione storica. La situazione della Lombardi del Seicento, sottoposta alla dominazione spagnola, tra prepotenze e violenze di ogni tipo, permette inoltre di richiamare, sia pure indirettamente, la situazione della Lombardia contemporanea, sottoposta alla dominazione austriaca.
M. avvia la narrazione ricorrendo all’espediente del manoscritto ritrovato: l’autore finge di aver trovato un manoscritto del secolo XVII che narra quella ‘storia milanese’, e inizia il romanzo fingendo di trascriverne le parti iniziali, col loro ampolloso e retorico linguaggio seicentesco; ma dopo poche pagine, convinto dell’improponibilità di quel linguaggio, interrompe la trascrizione e comincia a raccontare la storia del manoscritto per conto proprio e nel proprio linguaggio. Questo espediente dà luogo a una mescolanza tra passato storico e presente che è anche mescolanza tra oggettività storica e invenzione narrativa: chiamando in causa quell’antico testo come fonte del proprio discorso, per giudizi e interventi di vario genere, l’autore può giocare a distinguere il proprio punto di vista da quello del fittizio originale. La vicinanza dell’autore del manoscritto ai fatti giustifica la precisione dei dati storici più minuti, la ricostruzione circostanziata di figure e ambienti: questa aspirazione a corroborare la narrazione con una documentazione oggettiva rivela il continuo bisogno del M. di ‘verità’ storica.  

Il Romanzo Storico

Questa forma di romanzo è basata sulla rappresentazione di fatti e personaggi appartenenti a ben definite epoche storiche. Può trattarsi di vicende storicamente reali, ma arricchite di svolgimenti romanzeschi, o di vicende inventate dall’autore, ma inserite in un contesto storico reale; comunque il narratore si fa scrupolo di rendere in modo verosimile il carattere dell’epoca storica di cui scrive, documentandosi anche su usi, costumi, linguaggi, modi di vita del tempo a cui il suo racconto si riferisce.
La narrazione di eventi del passato in forma romanzesca è stata sempre in uso presso quasi tutti i popoli, ma il romanzo storico come genere vero e proprio si diffonde nell’età romantica, grazie alla nuova curiosità per la storia originaria delle nazioni e soprattutto per il Medioevo. A partire da Waverley (1814), i numerosi romanzi storici dello scozzese Walter Scott, ambientati nel Medioevo o in epoche storiche successive, ebbero un grande successo, che diffuse in tutta Europa la moda di questo genere. In Italia il romanzo storico si affermò verso la fine degli anni ’20. Mentre di scarso rilievo era stata la produzione romanzesca italiana del ‘700, costituita per lo più da imitazioni o da riprese di modelli inglesi e francesi, nel secolo successivo il romanzo storico diede luogo a una vasta produzione, dominante nella produzione degli anni ’30 e ’40 ed esauritasi soltanto verso il 1860: il successo di questo genere fu determinato, oltre che dal valore eccezionale della sua prima grande manifestazione, I Promessi Sposi, dalla situazione politica italiana e dalla tendenza dei nostri romanzieri a interpretare le vicende della storia italiana tra Medioevo e Rinascimento come modelli di valore nazionale, esempi eroici di libertà e di resistenza all’oppressione straniera.

Il Cinque Maggio (vv. 1/60)

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
   muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
nè sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
   Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
   vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
   Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
   Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
   La procellosa e trepida
gioia di un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
   tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
   Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
   E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno di immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.




Metro: ode di 18 strofe, ciascuna composta di sei settenari. Schema: a b c b d e